Il palazzo di carta

Quando la casa editrice Garzanti mi ha proposto questa collaborazione, ho prima di tutto studiato con molta attenzione il libro che avrei dovuto leggere. Ci tengo sempre a sottolineare che, quale lettrice, ho sì delle mie comfort zone, ma non mi pongo mai dei limiti, perché una bella scoperta si può sempre nascondere dietro l’angolo.

E, comunque, la valigia di esperienze che ci trasciniamo dietro non manca mai di avere molto spazio a disposizione.

Quindi ho valutato per bene che cosa mi veniva proposto e mi sono buttata… ‘Il palazzo di carta’ è un romanzo di narrativa contemporanea americana, con un pizzico di mistero e con un bel po’ di dramma, né saga familiare né autobiografia, che racconta al lettore le ventiquattro ore più importanti della vita di Eleanor, nelle quali quest’ultima, la nostra protagonista, dovrà prendere una decisione che potrebbe cambiare tutta la sua vita. Ma non è tutto, perché la storia è affiancata dal racconto dell’infanzia e dell’adolescenza di Elle, di tutta la sua vita, e, prima ancora, della vita di sua madre e di sua nonna, delle generazioni che l’hanno condotta a questo momento fatidico.

Mi sono buttata e devo proprio anticiparvi che credo di aver fatto bene.


Trama

Elle adora nuotare davanti alla casa di famiglia a Cape Cod. Ma quel giorno è diverso dagli altri. Perché Elle la sera prima ha fatto una scelta che ha cambiato tutto. Ha fatto l’amore con Jonas, l’uomo che, se le cose fossero andate diversamente tanti anni prima, ora sarebbe il suo compagno. Eppure, quel futuro non si è realizzato e il cuore di Ella si è aperto a Peter, suo marito, con cui ha avuto tre figli meravigliosi. Con lui è felice, ma il pensiero di Jonas non l’ha mai abbandonata. Ora Elle ha solo ventiquattr’ore per prendere la decisione che potrebbe stravolgere la sua vita; per farlo, non può ignorare la colpa che la unisce e la divide da Jonas. È il loro passato, è ciò che li ha allontanati, ma è un segreto che riecheggia nel presente. E ora tutto potrebbe tornare a galla come il fondale sabbioso che, durante una tempesta, affiora in superficie. Elle sa che cosa significherebbe. Sa che non è sola e che le conseguenze delle sue azioni peserebbero sulle persone che ama di più. Come sa che le scelte ormai alle spalle non sono giuste né sbagliate. Le scelte davvero importanti sono quelle che si hanno davanti.


La mia recensione

Scelte.

Tutta la nostra esistenza si basa sulle scelte che prendiamo ogni giorno e che danno forma alla nostra vita, che la rendono ciò che è, che stiamo vivendo e che vivremo. La protagonista di questo romanzo compie una scelta – direi inevitabile – che riporta a galla tutto quanto, che permette ai ricordi di riemergere, che rischia di far trapelare dei segreti rimasti sepolti per anni e che minaccia di ribaltare completamente la sua esistenza.

Il modo in cui Miranda Cowley Heller ha scelto di raccontare questa storia mi ha a dir poco stregata: la vicenda ha luogo in un unico giorno; questo viene “interrotto” da più flashback sul passato della protagonista e degli altri personaggi, nel racconto di come questi hanno influenzato e interferito, rendendola ciò che è.

Il tutto si riunisce e trova il suo apice in un finale (pseudo) aperto che mostra l’ultima cruciale scelta presa da Eleanor.

Lo stile di scrittura dell’autrice è ipnotico: è uno stile chiaro, scorrevole e coinvolgente, che porta il lettore a divorare letteralmente tutte le pagine del libro, una dopo l’altra, e a non riuscire nemmeno a tirare il fiato. Ho letto questo romanzo in relativamente molto poco tempo, secondo i miei standard, e vi posso garantire che non riuscirete a metterlo giù.

È proprio questo aspetto positivo, però, ad avere un contro piuttosto lampante, perché certe tematiche molto serie e molto pesanti, trattate all’interno di questo testo, risultano essere affrontate con fin troppa leggerezza, complice anche il fatto che, in più occasioni, vengono vissute da bambini e adolescenti. E qui potreste forse farmi notare che la Heller è stata più che brava nel suo lavoro… Sì e no. Ne ‘Il palazzo di carta’ ci sono scene di abuso sui minori, di violenza sessuale e di incesto, contenuti non proprio leggeri, e personalmente ne sono stata disturbata in più occasioni proprio a causa del modo in cui queste scene sono state riportate, come se non avessero rilevanza, come se fossero parte di una routine.

Ma temo che la percezione stessa di questi eventi sia molto soggettiva.

Il lettore deve immedesimarsi in Eleanor ed Eleanor è un personaggio particolare; il modo in cui ci racconta determinati “torti” subiti, come anche determinati errori commessi, è pertinente con il suo personaggio.

La scrittura di Miranda è un’arma a doppio taglio, possiamo dire così.

E lo sono anche i personaggi che ha creato per “recitare” la sua storia. Jonas è probabilmente l’unico che ha trovato il mio favore, insieme ad Anna, la sorella di Elle, perché tutti gli altri, Eleanor per prima, non hanno mosso la mia simpatia: con la protagonista non sono riuscita a relazionarmi e mi sono trovata più volte in disaccordo; suo marito, Peter, ha recitato più spesso del desiderato la parte del giocoliere di corte; il padre di Elle è un uomo semplicemente patetico e la madre… anche su di lei si può stendere un velo pietoso.

Però.

C’è un ‘però’ – uno dei tanti, perché, se vi sembra che io mi stia contraddicendo, avete assolutamente ragione.

‘Il palazzo di carta’ propone una sequenza di eventi ciclica, mostra come i fatti abbiano luogo e come le loro conseguenze si ripercuotano poi sugli altri, sulle generazioni future, che restano immancabilmente segnate da ciò che è successo ai loro padri e ai loro nonni prima ancora. Per il modo in cui Eleanor si comporta sono da biasimare soprattutto i suoi genitori, ma per il modo in cui si comporta sua madre è da biasimare, a sua volta, la madre di quest’ultima. E prosegue così, in questo modo.

Questo è probabilmente il punto forte del romanzo, lo “studio” di come chi ci ha preceduti è in grado di salvarci come anche di lasciarci annegare.

Non ho le competenze per valutare se il lavoro di Miranda Cowley Heller sia o meno innovativo, ma sicuramente offre più spunti di riflessione, sempre attuali e nei quali penso che più di un individuo possa rivedersi.


Voto

All’inizio avevo dato al ‘Palazzo di carta’ tre stelle, poi mi sono fermata a riflettere su questo voto per un bel po’, e alla fine ho fatto marcia indietro e ho deciso per le quattro. Ci sono delle cose che non mi sono piaciute, e altre che mi sono piaciute molto, quindi un voto a metà strada sarebbe stato forse migliore… ma mi piace “premiare” quei romanzi che riescono a risucchiarmi e a farmi allontanare dal mio mondo, a leggere per ore e a chiudere il libro con gli occhi che bruciano e la testa che scoppia. È soddisfacente, e, quando un determinato romanzo riesce a farmi provare tutto questo, significa che è riuscito nel suo proposito, senza ‘se’ e senza ‘ma’. Inoltre, una certa parte di merito va riconosciuta alle ambientazioni e alle descrizioni delle stesse: da Cape Cod a New York, da New York a Londra; la penna della Heller insiste molto sui diversi palcoscenici, soprattutto sulla natura selvaggia prima degli stagni e poi dell’oceano nei quali sono cresciuti i protagonisti. Ci tengo a precisare che questo non è un libro che consiglierei a tutti, perché sono consapevole di quali difetti abbia e anche di che cosa un lettore potrebbe trovare sgradevole. Vi incoraggio solo a provarci, se le premesse e le mie parole sono riuscite in qualche modo a incuriosirvi.

⭐⭐⭐⭐


Informazioni

  • Titolo: Il palazzo di carta
  • Autore: Miranda Cowley Heller
  • Genere: narrativa contemporanea, narrativa americana e (un tocco di) mistery
  • Editore: Garzanti
  • Pagine: 400
  • Ebook: 9,99€
  • Cartaceo: 17,00€

La mia prima volta

Sedetevi belli comodi e allacciate le cinture, perché quest’oggi vi porto una lettura letta in collaborazione con l’autore della stessa, un libro che è un esperimento sociale, una vera e propria sorpresa anche per me che non avevo mai letto nulla di simile prima, ve lo assicuro – ed è proprio per questo che mi sono approcciata al lavoro con più curiosità del previsto, per vedere che cosa ci avrei trovato.

Sto per parlarvi di ‘La mia prima volta’, scritto da Daniele Marrone.


Trama

Tredici storie di vita che riportano, attraverso un viaggio all’interno del proprio passato, chi le ha raccontate a rivivere le emozioni di una volta; un viaggio che può far male, soprattutto per chi ha vissuto una prima esperienza sessuale non proprio positiva. Storie apprese tramite i social o grazie a conoscenze personali. Chi le ha raccontate si è lasciato andare senza inibizioni, esponendo anche nei minimi particolari la storia della sua prima volta, avendo fiducia nell’intervistatore e liberandosi di un peso mai svelato prima a nessuno. […] Anche a distanza di anni, non si possono cancellare quei ricordi che, belli o brutti, rimarranno nella nostra scatola: sta poi ad ognuno di noi decidere se aprirla o se metterla a tacere per sempre con un lucchetto.


La mia recensione

Come avrete capito dalla “trama”, l’autore, Daniele Marrone, ha “intervistato” tredici persone riguardo la loro prima esperienza sessuale; ha raccolto le loro testimonianze in un libro e ha introdotto ognuna di esse con una poesia. Queste testimonianze ci vengono presentate sotto forma di dialogo, in un botta e risposta tra Daniele e i suoi protagonisti.

Il risultato di tutto ciò è ‘La mia prima volta’, un azzardo che riesce molto bene nel proprio proposito, secondo me. Per quanto mi riguarda io ho scelto di vivere questa lettura come una sorta di sfida, un modo indiretto dell’autore per farmi riflettere sul mio vissuto attraverso le vite di persone reali che hanno scelto di raccontarsi a tutti noi.

Leggere queste tredici storie mi ha fatta sentire doppiamente fiera di come io abbia vissuto la mia prima esperienza e di come stia vivendo la mia sempre prima – e spero unica – storia d’amore.

Ora.

Daniele ha svolto un lavoro molto intelligente, perché si è premurato di raccogliere testimonianze molto diverse tra loro, con protagonisti di diverso sesso, di differenti età, con esigenze, sogni e vocazioni di ogni tipo. Da storie semplici e romantiche come quella di Marika, a disastrosi errori di giudizio come quello di Giulia; da prime esperienze condivise nella camera di una prostituta, a prime volte organizzate nel minimo dettaglio affinché potessero essere speciali e indimenticabili.

Non avrebbe senso – ma nemmeno sarebbe molto corretto – mettermi a elencare tutti i protagonisti di ‘La mia prima volta’, con le rispettive esperienze sessuali, i miei pensieri in merito e quant’altro. Ho piuttosto pensato di selezionarne due: quella che mi ha fatto provare un misto di emozioni sia negative che positive – e che mi ha colpita maggiormente, anche se ancora non saprei definire in che modo; e quella che ho apprezzato di più, per motivi che poi vi spiegherò.

Il primo, il racconto di Luna, è decisamente il più complesso e controverso della raccolta fatta da Daniele. Luna, che inizia la sua storia come un ragazzino di quindici anni, lo porta a compimento come la donna transessuale che ora è, forte, matura, la quale è riuscita a lasciare alle proprie spalle un passato piuttosto turbolento. Vittima di veri e propri abusi sessuali, è cresciuta e ha raggiunto una consapevolezza finale del proprio corpo e della propria sessualità non senza dolore e sofferenza; da Bari si è trasferita a Roma, per poter costruire una vita lontana dalle sue radici, e da Roma è partita per Ibiza, dove ha avuto inizio la scalata del suo riscatto, che l’ha portata a tornare in Italia e a realizzare tutti i suoi sogni. Ora Luna è stata ripagata delle lacrime versate, ha raggiunto i suoi obiettivi ed è ciò che ha sempre voluto essere.

Sarei una bugiarda se affermassi di aver amato il suo racconto, o di riuscire a capire la sua persona, o di poter ignorare determinati eventi raccapriccianti che l’hanno vista protagonista. La sua storia mi ha fatta a tratti rabbrividire e a tratti sorridere, ma sono felice per lei, per la donna che è diventata e per la felicità che è riuscita a raggiungere tirando fuori le unghie e non avendo paura di usarle.

Il mio racconto preferito, invece, è stato senza ombra di dubbio quello di Paky, quello che ho considerato più “normale” – se la normalità esiste – e nel quale sono riuscita a rivedere, in un certo senso, me stessa e le mie esperienze, esperienze forti, belle e vissute fino all’ultimo istante, senza dolore né rimpianti.

Stavo aspettando il momento giusto, la ragazza giusta, ma in fin dei conti non l’aspettavo neanche, lasciavo che le cose accadessero, vivevo alla giornata senza pensare a nulla. E proprio quando non ti aspetti niente, le cose succedono realmente. Non devi chiamarle, saranno loro a venire da te come per magia. […] L’amore ti coglie di sorpresa allo stesso modo, ti assale, col suo calore che sale fino al cervello e non ti fa capire più niente. Le cellule del cervello vanno in standby e devi riavviarle per farle riaccendere.

La sua e quella di Mary è una storia semplice, come ce ne sono tante altre, ma è anche romantica e facile, facile come respirare, come dovrebbe essere, quando due persone iniziano a conoscersi, a una comincia a piacere l’altra, e poi anche quest’ultima ricambia e si trovano, e da questo incontro nasce qualcosa di meraviglioso.

Raggiunto l’apice dell’eccitazione assaporai il suo calore per la prima volta e fu una sensazione bellissima. Cosa c’è di più divino al mondo che fare l’amore? È un miracolo. È la perfezione.

A ‘La mia prima volta’ non posso dare un vero e proprio voto, quanto piuttosto un mio giudizio finale. L’edizione avrebbe potuto essere curata diversamente, con una copertina migliore e con un occhio di riguardo in più nei confronti della forma e della grammatica. La struttura della storia e le interviste che compongono i capitoli fanno sì che il lettore chiuda un occhio rispetto a certi difetti e si goda la lettura, come se si trovasse di fronte a queste tredici persone che si stanno raccontando.

Quindi, sebbene il lavoro finale avrebbe bisogno di una veloce sistemata, questo è un esperimento assolutamente ben riuscito, che aiuta il lettore a riflettere su un argomento che può essere più o meno scomodo, ma che ci accomuna tutti, come quello della prima esperienza sessuale.

A me personalmente ha fatto riflettere molto.

Informazioni

  • Titolo: La mia prima volta
  • Autore: Daniele Marrone
  • Genere: narrativa
  • Editore: Helios Edizioni
  • Pagine: 136
  • Cartaceo: 9,50€
  • Ebook: 0,99€

I convocati – Il segreto di Monica

Buongiorno, amici bibliofili!

Come stanno andando le vostre letture estive? Oh, beh, le mie malissimo. Secondo me ho il lettore interno in vacanza momentanea, o qualcosa del genere.

Quest’oggi vi porto l’ultimo romanzo che ho letto, ‘I convocati‘, niente di meno che una collaborazione con una coppia – Gilberto e Giulia, marito e moglie – che è finalmente riuscita a realizzare il suo sogno di scrivere un libro a quattro mani.


Trama

Due dipendenti di un’importante azienda vengono improvvisamente catapultati in un’avventura che cambierà loro la vita grazie all’incredibile decisione del loro datore di lavoro. Ambientato in un luogo incantevole, la Val di Non, incontreranno Monica e tenteranno di scoprire il suo segreto, celato da molti anni.


La mia recensione

Dunque. Mi aspettavo qualcosina in più.

Posso riassumere questa esperienza in un modo: dopo aver dato un’occhiata alla trama, non avevo ben capito che cosa stavo per leggere… e a fine lettura ancora non ho capito che cosa ho letto.

Ma andiamo con ordine, cominciando dalle buone notizie.

Il libro è scritto molto bene per quanto concerne sintassi, grammatica e vocabolario, e io voglio assolutamente sottolineare questo aspetto perché mi è capitato di leggere romanzi scritti da autori che avrei invitato più che volentieri a ripetere la prima elementare. Non per cattiveria, no, ma perché se un libro viene scritto e poi pubblicato le basi della grammatica della nostra lingua mi aspetto di vederle rispettate. E questi due scrittori mi hanno fatto tirare un enorme sospiro di sollievo da questo punto di vista.

Seconda lancia spezzata in loro favore è il fatto di essere riusciti a scrivere un libro a quattro mani senza che questo emerga dalle pagine. I loro due stili sono diventati uno solo e da lettore posso confermare che se non avessi saputo precedentemente del “come” è stato scritto il libro non l’avrei certo notato.

Però ‘I convocati’ non mi è piaciuto.

Prima di qualsiasi altro problema, ciò che mi ha messo davvero i bastoni tra le ruote è stato lo stile di scrittura che caratterizza questo libro: non ha trovato la mia simpatia e credo che qualsiasi lettore sappia che cosa vuol dire quando è il come è raccontato un libro a non convincerci. Io leggo Stephen King e spesso mi viene detto che non lo si riesce ad apprezzare per il suo stile molto particolare. Nessuno ci può fare nulla. È un parere soggettivo e un ostacolo – purtroppo – invalicabile.

A questo ci aggiungiamo però un appunto un po’ più lampante: ne ‘I convocati’ abbiamo troppo tell e poco show; credo anzi di non aver mai letto un libro nel quale la mancanza di show, don’t tell fosse così chiara. Il narratore, che è anche il personaggio protagonista, spiega troppo, anche cose assolutamente non necessarie che rallentano la lettura e che fanno sentire il lettore come un bambino che deve essere imboccato.

Un piccolo esempio devo farlo :

[…] E dopo aver bussato esclamò:

«Urgente, amico!»

Sì, avete capito bene, mi aveva chiamato amico, perché ci conoscevamo da anni e, oltre che colleghi, eravamo ormai anche amici.

Tu autore non devi spiegarmi a parole che questi due sono amici. In qualche modo, e prima o poi, lo capirò da sola – e di sicuro non devi farlo rivolgendoti direttamente a me lettore, come se stessimo bevendo la cioccolata insieme.

Ci sono troppe informazioni inutili, troppe spiegazioni assolutamente non necessarie.

Detto questo, la storia non mi ha coinvolta: dopo novanta pagine ancora non ho capito che lavoro facciano i due protagonisti e non ho compreso a pieno il perché di quello che ha avuto luogo; ho capito che cosa è successo… ma non mi ha dato nulla, non mi ha insegnato o fatto provare alcunché. Puntiamo pure il dito e chiamiamolo (mio) “limite mentale”, ma è andata in questo modo, purtroppo. Il “segreto di Monica” – un mistero che dà anche il nome al libro – viene alla luce, questo sì, ma lo fa in un modo che non mi ha minimamente scossa, che mi ha lasciata anzi indifferente, quando sarebbe dovuto essere il grande colpo di scena e punto forte del romanzo.

Non ho provato emozioni, e queste ultime sono ciò che aspetto con più impazienza quando leggo.


Voto

Non avverto mai nessuna soddisfazione nel scrivere e pubblicare una recensione “negativa”, o comunque un commento che non vuole propriamente esaltare il libro del quale stiamo parlando – come in questo caso. Anzi, preferisco assolutamente scrivere pareri positivi, perché vi assicuro che sono molto più belli e semplici da formulare. Comunque. ‘I convocati’ è un libro che non rileggerei: non fraintendetemi, è scritto bene – particolare per niente scontato, ve lo assicuro – e in italiano corretto; ma lo stile col quale è stato scritto, appunto, non mi ha colpita e la storia in sé che vuole raccontare l’ho compresa a grandissime linee e non sono riuscita ad apprezzarla. Mi spingerei anche a dire che non ha le “qualità” giuste per essere ricordata, o che comunque non ha un vero e proprio perché, ma quando si tratta della trama e dei fatti narrati so benissimo che, per quanto io possa dichiararmi delusa, può sempre esserci una seconda parte che invece ne è rimasta più che soddisfatta. Perciò, sì: io l’ho reputata una lettura mediocre e non particolarmente efficace. Quindi la consiglio? Certo. Ritengo sbagliato togliere ad altri il gusto di creare una propria opinione e, appurato che non siamo tutti uguali, è più che giusto farlo.

⭐⭐


Informazioni

  • Titolo: I convocati
  • Autore: Gil & Giu
  • Genere: narrativa moderna e contemporanea
  • Editore: self publishing
  • Pagine: 94
  • Cartaceo: 13,00€

Come le ali del pettirosso

[*rullo di tamburi*]

Così comincia la storia di una casa editrice tutta al femminile, la Sága Edizioni, la quale si propone di portare sul mercato titoli nuovi e interessanti, che spaziano senza risparmiarsi tra i generi letterari più differenti.

E poi ci sono io, la vostra Rebecca, con i miei profili social e il mio blog, entusiasta di poter dare il mio contributo e di collaborare a questo brillante progetto con il mio personale punto di vista.

La recensione di oggi è la primo gradino di quella che mi aspetto sarà una più lunga scala da percorrere, un commento al romanzo che dà il via al proposito di chi lavora dietro le quinte della Sága Edizioni. Sto parlando di ‘Come le ali del pettirosso‘, di Giordano Alfonso Ricci, un testo di narrativa generale – parte della collana Thalia.


Trama

Augusto è un uomo metodico e ordinato, nella cui vita non c’è spazio per i sentimenti. Così, mentre lui crea sempre più barriere con le emozioni, gli anni passano. Rodica, la sua governante, prova a mostrargli che ci sono attimi, situazioni e momenti che non tornano più, ma Augusto non vuole rivivere quello che è stato con Jelena: un amore sospeso. Le giornate trascorrono tutte uguali tra studio e lezioni in università – e discussioni con Rodica –, quando nella quotidianità di Augusto incombe l’ombra del passato: il Venezuela, le sue origini, lo richiamano come un canto urgente e misterioso. Solo Augusto può scegliere che cosa fare: seguire il proprio istinto e abbattere la barriera dei sentimenti o rifugiarsi ancora una volta nella razionalità.


La mia recensione

La prima “critica” che ho rivolto a questo testo, durante la lettura, riguardava direttamente la trama: la vicenda che coinvolge Augusto, un cinquant’enne benestante e indipendente, il quale conduce una vita movimentata da tante relazioni passionali, ma non da un matrimonio stabile, l’ho vista spesso, soprattutto nei cinema. Nulla di nuovo, quindi, specie se vogliamo concentrarci su un uomo che fa entrare nel proprio letto (quasi) una donna diversa ogni sera, abbastanza dissoluto nelle relazioni e, purtroppo, egoista.

Però… Che bello contestarmi da sola in positivo.

Io apprezzo particolarmente leggere un libro che parte subito in quarta, che già dal primo capitolo riesce a intrappolarmi tra le sue spire e che mi promette una lettura degna di nota. Con ‘Come le ali del pettirosso’ non è certamente accaduto ciò, come avrete capito, ma piuttosto ha avuto luogo qualcosa di molto diverso, una dinamica dalla quale di solito diffido: il testo mi ha coinvolta lentamente; mi sono fatta catturare dalla lettura a piccoli passi, quasi con circospezione. Il merito di ciò va riconosciuto a quella stessa trama che inizialmente non era riuscita a interessarmi, e che invece ha poi saputo distinguersi, partendo come hanno fatto molte altre ma venendo in seguito fatta propria dall’autore.

È bello quando un romanzo riesce a far ricredere il lettore, vero?

Il passato che torna a chiedere il conto ad Augusto è in questo caso una paternità della quale lui non era al corrente. Armato di senso di colpa, di paura e di risolutezza, l’uomo si mette in viaggio verso il suo paese, il Venezuela – nel quale non mette più piede da molti anni, vivendo ormai una vita italiana di tutto rispetto –, per riabbracciare i suoi parenti e per affrontare la verità che il suo unico e vero amore non gli ha mai rivelato.

Non mi sarei aspettata ciò che invece ho letto, una guerra in nome della famiglia e della giustizia, nella quale la reale condizione del paese sudamericano fa da sfondo a una lotta disperata per salvare la vita a Mila, una giovane donna accusata ingiustamente, la quale combatte in nome dei diritti della propria gente, ed Elena, una bambina innocente ignara del male e della corruzione che la circondano, pericoli che si nascondono anche tra le file di coloro che dovrebbero proteggere i più deboli.

Quella intrapresa da Augusto sarà un’odissea che lo porterà fino in Colombia, che lo vedrà stringere amicizie inaspettate e che lo costringerà a stravolgere completamente la sua vita.

La verità è che fino a un paio di settimane fa non avrei mai immaginato di essere qui dove sono ora. Non avrei mai immaginato di dover temere per la vita di qualcuno che non fossi io più di quanto temessi per me stesso. Poi ci sono cose che semplicemente cambiano. Ho da riscattare una vita piena di cose vuote e Dio mi ha dato una seconda opportunità. […] Non ho pensato ad altro. Qualunque cosa io dica a mia giustificazione non trova albergo nella mia etica, ma non avrei esitato a usare quell’arma se le avessero separate da me. Probabilmente questo significa che dovremo passare la frontiera per strade diverse e francamente al tuo posto farei la stessa cosa. Abbiamo fatto un pezzo di strada uniti senza esserci mai conosciuti prima.

Di questo romanzo ho apprezzato particolarmente il genere. Ora, essendo un libro di narrativa generale, praticamente potremmo dire che non può essere catalogato sotto una tipologia specifica… E in effetti è proprio così. Abbiamo la crescita del protagonista, il dramma, l’amore, il thriller, la suspense; abbiamo tante cose mescolate in una lettura che definirei per tutti.

Giordano Alfonso Ricci sa costruire un libro, di questo ne ho avuto la conferma, eppure qualcosa non mi ha convinta, come è giusto che sia – effettivamente – quando si decide di valutare fino in fondo una lettura.

Alcune scelte di vocabolario, sia nei personaggi quanto nel narratore, le ho trovate discordanti, proprio se messe in relazione tra loro. Lo stile di scrittura stesso dell’autore, poi, è per me ancora un enorme punto di domanda, perché non l’ho né amato né odiato; so solo che non mi ha completamente convinta. Infine, sebbene non manchino delle bellissime descrizioni – quella del quartiere di Petare è stata senza ombra di dubbio la mia preferita –, ho notato un uso eccessivo del dialogo, della narrazione “raccontata” dai personaggi attraverso questi discorsi diretti lunghissimi, anche di pagine intere, che trovo rallentino la lettura. Ma tutto questo rientra necessariamente nel punto di vista soggettivo, lo so bene… Eppure diamo anche a esso un piccolo spazio, che dite?

Complessivamente, e tirando le somme, mi dichiaro soddisfatta.

La storia di Augusto, Mila ed Elena mi ha tenuto compagnia nell’ultimo periodo; l’autore deve essere fiero del proprio lavoro e la casa editrice della propria decisione, quella di dare il via a un bellissimo proposito con un titolo più che soddisfacente.


Voto

Non mi piace fare dei paragoni, sia chiaro, però con ‘Come le ali del pettirosso’ è giusto che io mi conceda di uscire un po’ dai miei schemi e che riconosca determinati meriri. Una cosa che tollero sempre meno delle collaborazioni che mi vengono proposte – che arrivino esse da case editrici o da autori che pubblicano i propri romanzi in self – è la scarsa cura dell’aspetto oggettivo della faccenda, vale a dire la grammatica. Se mi seguite da un po’ di tempo di certo sapete che io do molta importanza a questo punto, perché un libro mi piace che sia scritto bene, in modo corretto, e non che offra solo una trama avvincente. Perciò, dopo molte collaborazioni che mi hanno delusa sotto questa particolare sfaccettatura, ecco che Giordano Alfonso Ricci e la Sága Edizioni mi permettono di leggere un testo scritto in italiano corretto; non manca qualche piccola svista qua e là, questo non lo nego, ma si tratta di errorini che non intralciano la lettura. Quindi, i miei più sinceri complimenti. Ho poi da aggiungere che la vicenda della quale vediamo protagonista Augusto non vanta chissà quale originalità… eppure Giordano l’ha fatta sua, trasformandola in un “romanzo di formazione” per adulti, con tante piccole contaminazioni drammatiche e thriller che mi hanno piacevolmente colpita e intrattenuta. Per tutti questi motivi, il mio non può che essere un giudizio più che positivo.

⭐⭐⭐⭐


Informazioni

  • Titolo: Come le ali del pettirosso
  • Autore: Giordano Alfonso Ricci
  • Genere: Narrativa Generale
  • Editore: Sága Edizioni
  • Collana: Thalia
  • Pagine: 486
  • Cartaceo: 15,00€